Bio

Fin dalla loro nascita, i Deadburger hanno sempre considerato sé stessi come un work in progress permanente.

  • Line-up cangiante, capace – come è appropriato, nell’Era Della Instabilità – di espandersi o contrarsi, secondo necessità e possibilità, spaziando da duo a ottetto;
  • bioritmi da disturbo bipolare, dove periodi di intensa attività discografica e concertistica si alternano a periodi di silenzio totale (con la band concentrata nella “clausura” dello studio di registrazione, o con i singoli membri impegnati in progetti individuali e collaborazioni con altri musicisti);
  • e una musica che – pur restando coerente con le proprie premesse – cerca di non ripetersi mai.

Quello dei Deadburger è un progetto che si reinventa continuamente, ad ogni uscita.
Il giorno in cui smetterà di farlo, i Deadburger cesseranno di esistere.

 

FASE I

I Deadburger nascono come duo (Alessandro Casini chitarra e grafica, Vittorio Nistri elettronica), con l’idea di unire la fisicità e l’immediatezza comunicativa del rock con la sperimentazione.

Inizialmente, la componente sperimentale è focalizzata principalmente sull’elettronica; col tempo (vedi FASE II e seguentiI), lo spettro di ricerca diventerà, passo dopo passo, più ampio.

Al momento di iniziare l’attività live, il gruppo si trasforma in un sestetto, con Vittorio Canovai alla voce, Edoardo Mencherini al basso, Silvio Brambilla alla batteria e Stefano Porciani allo scratch.

Le prime apparizioni in pubblico hanno luogo nel 1996, quando i Deaburger partecipano e vincono un paio di concorsi (Indipendenti e Arezzo Wave).
L’album “Arezzo Wave 1996”, pubblicato dalla Bmg Ariola, vede l’esordio discografico della band con il brano “Italiano Cyborg”, canzone sulla nascente “corresponsione di amorosi sensi” tra gli italiani e Berlusconi – a quel tempo non ancora Unto Dal Signore, ma già icona esemplare della mutazione sociale e antropologica in corso.

Dopo un anno di concerti in tutta Italia, il Panino di Morto pubblica, per l’etichetta milanese Fridge, il suo primo album. Intitolato semplicemente “Deadburger” (Fridge Records 1997), mixato da Paolo Favati (Pankow), contiene 10 brani + un remix a cura di Eraldo Bernocchi. Ma è anche un enhanced cd: oltre alla musica, contiene moltissimo materiale interattivo per PC o Mac, quali filmati live, clips appositamente realizzati dai videoartisti Paolo Bragaglia e Federico Bucalossi, e ipertesti correlati agli argomenti delle canzoni. Probabilmente è il primo cd-rom autoprodotto da un gruppo indie in Italia.
Un brano dell’album viene incluso, l’anno successivo, nella raccolta “In-fraction” della nipponica Casio, con tiratura 20mila copie (cose da giapponesi; per il mercato italiano, pura fantascienza).

Nel 1999, dopo un cambio di bassista (entra Leandro Braccini, ex Diaframma), i Deadburger pubblicano il loro secondo lavoro, l’EP “Cinque Pezzi Facili”. Uscito per l’accoppiata Sony + Fridge, è la prima ed ultima esperienza del gruppo in ambito major. Mixato nuovamente da Paolo Favati, contiene una cover electroclash di “Io sto bene” dei CCCP (con due anni di anticipo rispetto alla electro-cover dello stesso brano registrata dagli Ustmamò per la colonna sonora del film “Paz”), e altri 4 brani, prevalentemente strumentali, focalizzati sul lato più elettronico del gruppo.
Tipicamente, il rapporto con la major si rivela presto un non-rapporto. Promozione zero, nessun resoconto sulle vendite, ecc.

Peraltro i Deadburger, presagendo la cosa, avevano ceduto a Sony i diritti solo di “Cinque Pezzi Facili”, conservando piena libertà per le uscite successive. Possono così riprendere subito a pubblicare nuovo materiale in campo indipendente.

A fine 1999 la band pubblica l’inedito “Io non so” (su testo del poeta apolide Giuliano Mesa) nel cd “Rocksound Speciale Italia Vol 1”. Il brano registra un importante cambio di line-up: uscito Vittorio Canovai, al gruppo si è unito Simone Tilli, da allora voce – e molto di più – dei Deadburger.
Nel 2000 la band partecipa all’atto finale del progetto Luther Blissett, ovvero l’album “Luther Blisset The Open Pop Star”. Il brano di Deadburger, “Antigrammatica”, vede la partecipazione speciale dell’art-serial killer Piero Cannata, la cui voce è stata registrata nell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Montelupo.

Con questi brani si conclude la prima fase di produzione discografica del Panino Di Morto, dove sono presenti  determinati elementi che avevano appassionato la band al momento della sua formazione (la cultura cyberpunk, l’industrial rock alla Nine Inch Nail, l’indie-dancefloor alla Primal Scream), ma che presto il gruppo aveva cominciato a sentire come restrittivi.

I Deadburger non rinnegano il proprio passato, ma vogliono provare ad andare avanti. Non si tratta di volersi inserire in una corrente musicale piuttosto che in un’altra, ma di cercare la corrispondenza più onesta possibile tra ciò che si è e ciò che suona. L’obiettivo è una musica che possa riflettere il tempo e il contesto sociale in cui matura, le esperienze personali dei membri del gruppo, l’ambiente in cui gli stessi vivono.
In questa ottica, nel 2001, il Panino di Morto decide di prendersi una pausa “di crescita”. L’attività live viene temporaneamente sospesa, e comincia un periodo di ricerca e sperimentazione nello studio di registrazione del gruppo. Nel frattempo, i singoli membri della band portano avanti alcuni loro progetti individuali (che abbracciano interessi diversi: psichedelia, musiche per teatro, noise) e l’attività concertistica all’interno di altri ensemble; riversando poi tutte queste esperienze nel nuovo corso dei Deadburger.

 

FASE II

Il nuovo corso del Panino di Morto comincia nel 2003, quando il gruppo pubblica, per l’etichetta anglo-olandese Wot 4, il suo 3° album, “S.t.0.r.1.e”. Contiene 13 brani, ciascuno dei quali concepito come un racconto. Non a caso, al disco è allegato un booklet a colori di 28 pagine che integra, e a volte continua, le storie delle canzoni.

Ogni storia prende spunto da un articolo di cronaca, ma allo stesso tempo si interseca con episodi o situazioni attinti dalle esperienze individuali (lavorative, affettive, politiche, ecc) dei singoli membri del gruppo.
Con questo lavoro la musica della band si apre a nuovi colori: schegge di jazz urbano, psichedelia contemporanea, canzone d’autore.

Di pari passo, la band si apre a molteplici collaborazioni. Tra gli ospiti: QuintorigoPaolo Benvegnù, Roy Paci (nella sua veste più spigolosa e anti-pop), Odette di Maio (ex Soon, successivamente nei “Miss O”).

Dopo l’uscita di “S.t.0.r.1.e”, la formazione del gruppo si stabilizza per qualche tempo in un quintetto, con tre membri “storici” (Alessandro Casini, Vittorio Nistri, Simone Tilli) e due new entries: Lorenzo Moretto (degli Oshinoko Bunker Orchestra, ex DeGlaen) alla batteria, e Carlo Sciannameo al basso. Con questa line-up il gruppo riprende l’attività sia concertistica che di registrazioni e sperimentazioni in studio.

Proseguono anche le collaborazioni e i progetti individuali dei singoli musicisti.

Vittorio Nistri, tra le altre cose, collabora con i liguri St Ride e Jacopo Andreini per una performance organizzata dal Teatro del Ponente di Genova in occasione del venticinquesimo dalla scomparsa di Demetrio Stratos.

Vittorio pubblica inoltre, per la net-label inglese Woven Wheat Whispers, l’omonimo album degli In Yonder Garden (2006), trio italo-inglese che lavora sull’incontro tra psichedelia acustica ed elettronica, e sulla compenetrazione tra trance e melodia, anticipando alcune direzioni di ricerca che verranno in futuro riprese, sotto una diversa angolazione, dai Deadburger (album “la Fisica Delle Nuvole” – vedi “FASE III”).

Nel 2007 esce il 4° album dei Deadburger, “C’è Ancora Vita Su Marte”.

Pubblicato da Goodfellas Records, contiene 22 brani, di cui 15 cantati e 7 strumentali, mixati da Fabio Magistrali, e registrati con numerosi collaboratori, tra cui Enrico GabrielliVincenzo VasiJacopo AndreiniPaolo Benvegnù.

Il brano “Istruzioni per l’uso della Signorina Richmond” è la trasposizione in musica, con il consenso dell’autore, dell’omonima poesia dello scrittore neoavanguardista e artista visuale Nanni Balestrini.

L’album prosegue la svolta intrapresa con “S.t.0.r.1.e”, ma spingendosi oltre. Pur rimanendo 100% Deadburger, “C’è Ancora Vita Su Marte” esplora concezioni compositive e di arrangiamento diverse da tutto quanto la band ha fatto in passato.

Permane l’interscambio tra rock ed elettronica (da sempre una costante del suono Deadburger), ma l’elettronica è usata in modo profondamente diverso rispetto ai lavori precedenti del gruppo. Scompaiono infatti sequencer, drum machines e “programmazioni” in genere, in favore di una elettronica “fatta a mano”, “organica”, non più contrapposta ai suoni “naturali” degli strumenti acustici ed elettrici, ma fusa e compenetrata ad essi. Spesso non ci sono neppure sintetizzatori o tastiere, e la componente elettronica si esplica nel filtraggio degli strumenti acustici ed elettrici, che vengono “infettati” e rielaborati fino a diventare altro.

Ugualmente importante diviene l’interscambio tra improvvisazione e scrittura, che da qui in poi diventerà uno dei punti cardine della ricerca del gruppo.
Il procedimento compositivo è il seguente. Tutti i brani nascono da cellule sonore ridotte all’essenziale (un semplice loop, un’immagine visiva o un’idea di atmosfera, a volte una micro-frase arrecante un imprinting tonale). Su queste cellule-loop, i musicisti improvvisano liberamente e anarchicamente. Anche per ore, come in stato di incoscienza.
I files delle improvvisazioni vengono in seguito riascoltati e selezionati, cercando di estrapolarne gli elementi che meglio sviluppano le coordinate emotive e le atmosfere dell’idea iniziale.
Gli elementi così individuati vengono poi strutturati, con un certosino processo di assemblaggio, filtraggi, scrittura di arrangiamenti “a posteriori”, sovraincisioni (anche col coinvolgimento di musicisti ospiti, ove il nascente arrangiamento richieda ulteriori colori). Questo lavoro può protrarsi a lungo nel tempo, e termina solo al momento della completa definizione di ogni singola composizione.

Non tutti i procedimenti usati nelle registrazioni possono essere replicati dal vivo. Il gruppo non vede questo come un problema, ma come uno stimolo. In concerto, arrangiamenti e suoni vengono reinterpretati, adeguandosi agli ambienti dei live set e alla strumentazione disponibile, con ampio spazio alle improvvisazioni e agli esperimenti.

Nel bene o nel male, nessun concerto dei Deadburger è uguale a un altro.

Alla prima presentazione live di C’è Ancora Vita Su Marte (presso un locale fiorentino, oggi  chiuso per le proteste dei vicini, chiamato “L’Ambasciata di Marte”: quando si dice “nomen omen…), la band si presenta insieme a Virgilio Villoresi, che “mixa” in diretta il concerto con proiezioni dei suoi disegni animati.

Nel 2008, dopo un ultimo concerto alla Flog di Firenze insieme ai catanesi Uzeda, il batterista Lorenzo Moretto, sempre più impegnato con i Diaframma, lascia i Deadburger. Nei tre anni successivi, vari collaboratori si alterneranno alle bacchette della band: Pino Gulli (ex Consorzio Suonatori Indipendenti), Ivan Broccardo (Metalmilitia), Emanuele Fiordellisi (Une Passante).

 

DALLA FASE II ALLA FASE III

Nel periodo tra la fine del 2008 e il 2010, i Deadburger portano avanti il progetto “Post Atomic Cafè”, uno spettacolo – commissionato dal Teatro Lux di Pisa, e poi replicato su numerosi altri palchi della Toscana – che è contemporaneamente un recital teatrale (con attori, videoproiezioni, scenografie) e un concerto di psichedelia acustica (con larghi spazi di improvvisazione).

Per l’occasione la band si presenta in una versione espansa a ottetto. A Simone Tilli, Vittorio Nistri, Alessandro Casini e Carlo Sciannameo si aggiungono: Giulia Nuti (membro degli Underfloor e collaboratrice di Claire Hammill, Graziano Romani e innumerevoli altri) alla viola, Irene Orrigo al flauto e voce, Pino Gulli (CSI) alla batteria, e Massimo Giannini alle percussioni.

Sul palco, l’ottetto interagisce con la compagnia teatrale di Silvia Bagnoli e la videomaker e scenografa Daniela Bertini, sviluppando il lato “narrativo” delle proprie canzoni.

Il repertorio alterna canzoni tratte dai precedenti dischi della band, rivisitate fino ad una totale reinvenzione, e nuovi brani scritti appositamente per lo spettacolo.

La necessità di abbassare i volumi, imposta dal contesto teatrale, porta i Deadburger a sperimentare una strumentazione prevalentemente acustica, con cui la band non si era mai cimentata prima. La scommessa è quella di cercare di rimanere coerenti con sè stessi, evitando i luoghi comuni del “gruppo rock che rilegge le proprie canzoni in chiave unplugged”. Con sorpresa degli stessi musicisti, che inizialmente non erano affatto sicuri della fattibilità dell’esperimento, la cosa funziona.

Nel frattempo, proseguono, come sempre, le attività individuali dei singoli musicisti e le collaborazioni.

Il bassista Carlo Sciannameo si presenta come autore completo, chitarrista e voce solista nelle Macchie di Rorschach, il cui album di esordio, registrato nel 2010, viene pubblicato l’anno successivo dalla Suburban Sky. Nella formazione, altri due musicisti dei Deadburger versione ottetto: la violista Giulia Nuti e il batterista Pino Gulli.

Una nutrita delegazione deadburgeriana (Vittorio Nistri, Simone Tilli, Carlo Sciannameo e Giulia Nuti; con l’aggiunta di Dathys B e Jamie Maria Lazzara, che già avevano suonato con Vittorio nel progetto “In Yonder Garden”) collabora con i messinesi Maisie, in quattro brani del doppio album “Balera Metropolitana” (Snowdonia 2009).

Nel 2010, i Deadburger vengono chiamati dal musicista e scrittore torinese Davide Riccio a partecipare al suo progetto “NEUMI”, che si concretizzerà in un libro con allegato cd, pubblicato nel 2011 dall’Editrice Genesi di Torino.

Il libro è un excursus nella storia delle notazioni musicali non pentagrammatiche.

Nell’album, 18 musicisti (dal pianista Girolamo De Simone a Jacopo Andreini, dal flautista Gregorio Bardini allo stesso Riccio) si cimentano con altrettante partiture “senza pentagramma”.

Il contributo dei Deadburger (qua nella formazione base a cinque, con i membri storici Alessandro Casini, Simone Tilli, Vittorio Nistri e Carlo Sciannameo, affiancati per l’occasione dal batterista Ivan Broccardo), è “Kirye Eleison”, reinterpretazione in chiave sperimentale – ma anche “politica” – di un manoscritto norvegese del XV secolo, con notazione a testa di martello su trigramma.

Alessandro Casini cura inoltre il progetto grafico del libro.

In questo stesso periodo, i Deadburger mettono a fuoco l’idea del progetto “Mirrorburger”.

Esso ha origine da alcune riflessioni che l’esperienza in teatro ha stimolato nella band. L’ottetto acustico ha fatto prendere coscienza al gruppo che i Deadburger, a questo punto del loro percorso, hanno ormai un loro mondo, sonoro e non. Potrà valere poco, potrà valere molto (…certamente, più “poco” che “molto”, se il parametro di giudizio è quello dei ritorni economici), ma è il loro mondo. E prescinde dalle sonorità impiegate, visto che, in qualche modo, conserva una sua coerenza sia quando usa chitarre distorte e stratificazioni di rumori e suoni elettronici, sia quando usa viole e chitarre acustiche.

Il gruppo ha inoltre preso coscienza che nella sua musica, disco dopo disco, concerto dopo concerto, sono venute a delinearsi due anime, complementari l’una all’altra. Una è “realista”, spigolosa, nervosa; l’altra “surrealista”, visionaria, cinematica. Musica di città (sia di cemento che di bit) da un lato; musica psichedelica dall’altro.

La doppia anima era già presente, ancorchè in modo meno marcato, nei primi lavori del gruppo (brani come “Piano con quell’acido Eugenio” e “Deadburger # 2” sull’album di esordio, o “Io” sull’EP “Cinque Pezzi Facili”, erano già altrettanti viaggi psichedelici), per poi accentuarsi progressivamente nei lavori seguenti, fino a emergere con piena evidenza nello spettacolo teatrale. Frutto non di una “scelta stilistica” premeditata, ma del desiderio di fare una musica che rispecchi, con la maggiore sincerità possibile, chi la fa. Per la prima anima, i membri del gruppo attingono al contesto sociale e ambientale in cui vivono; per la seconda, al proprio “inner space”.

Con la sintesi tipica del linguaggio anglosassone, si potrebbero usare i termini “inside/outside”.

Da queste considerazioni, scaturisce l’idea di realizzare un dittico, composto da due blocchi di uscite discografiche apparentemente antitetiche, e certamente fruibili l’una indipendentemente dall’altra, ma di fatto inscindibili – come è inscindibile l’immagine in uno specchio da quella della persona che vi si riflette.

Il progetto dello “specchio Deadburger” si concretizza nelle “FASI III e IV”. Nella III viene realizzato il blocco focalizzato sul lato “inside” (“La Fisica delle Nuvole”). Nella IV viene realizzato il blocco focalizzato sul lato “outside” (“La chiamata”).

 

FASE III

Dopo un live alla Flog di Firenze (che viene filmato da una equipe professionale con quattro videocamere sincronizzate, e prima o poi vedrà la luce su DVD), il gruppo inizia un nuovo periodo di “clausura” in studio di registrazione.

Il 2011 vede infatti la band immersa nella realizzazione dei tre album destinati a “La Fisica Delle Nuvole”, il box con 3 album che costituirà la prima parte del progetto “Mirrorburger”.

Le registrazioni coinvolgono numerosi membri passati e presenti dei Deadburger (tra cui l’ottetto del “Post Atomic Café” al completo), così come altri preziosi collaboratori (Emanuele Fiordellisi e Giulia Sarno degli Une Passante, Paolo Benvegnù, Enrico Gabrielli, Marina Mulopolus ex Almamegretta, ecc).

Nel gennaio 2012, l’interfaccia tra vita e musica dei Deadburger presenta un conto da pagare. Simone Tilli (cantante, pluristrumentista e motore pulsante del gruppo) effettua un viaggio andata e ritorno nell’Aldilà. Ogni attività della band è sospesa per tutta la prima metà dell’anno.

Poi Simone ritorna, con due scintillanti valvole cardiache nuove di zecca, un polmone restaurato, e un EP solista autoprodotto (“Gualty Vol I”)  che è il diario della lotta con il proprio corpo in rivolta, e l’inizio di una serie di album solisti a nome “Gualty”.

I Deadburger ripartono. Curano gli ultimi ritocchi e i mixaggi dei tre album della Fisica delle Nuvole, per poi dedicarsi – con la medesima cura riservata alla musica – alla parte grafica.

Per quest’ultima, la band instaura una fruttuosa collaborazione con Paolo Bacilieri, uno dei migliori disegnatori di fumetti italiani contemporanei.

In un momento in cui crollano le vendite dei supporti fisici della musica, i Deadburger reputano giusto ricompensare i passionali che ancora acquistano i dischi “veri”, dando loro un qualcosa che sia anche bello da vedere, da sfogliare, da tenere in mano. L’apporto di Bacilieri si rivela fondamentale in questo senso.

La Fisica Delle Nuvole” esce il 15 settembre 2013 come coproduzione tra le etichette Goodfellas Records (grazie all’interessamento di Simone Fringuelli, che aveva già pubblicato il precedente album dei Deadburger) e Snowdonia (l’etichetta diretta da Alberto Scotti e Cinzia La Fauci dei Maisie, ai quali la band è legata da un lungo rapporto di stima reciproca e collaborazione).

Il lavoro viene attribuito per la prima volta non semplicemente a “Deadburger” bensì a “Deadburger Factory”,a sancire il passaggio da rock band classica a open ensemble e laboratorio permanente di sperimentazioni.

Si presenta come un cofanetto cartonato contenente un booklet di 64 pagine illustrato da Bacilieri, un miniposter, e tre album. Non un disco triplo, ma proprio tre album autonomi, nuovi e inediti…. ognuno con la sua confezione digipack, il suo titolo, la sua copertina, e il suo concept  diverso da quello degli altri… ciascuno concentrato al massimo, senza ripetizioni, con una durata contenuta in una densa mezz’ora. Però (e questa è una cosa della quale non ci sovvengono precedenti da parte di altri), i tre album vengono messi in vendita solo insieme, in unica confezione. Perché sono tre dischi diversi, ma parti di una stessa visione, e dalla medesima attitudine di “immagini per le orecchie”,

Non a caso, le 3 copertine hanno ciascuna un disegno di Bacilieri pienamente “autosufficiente”; ma, accostandole, formano un’unica grande immagine, come una versione psichedelica dei polittici rinascimentali.

Suono del primo album (che si intitola “Puro Nylon”; e va da sé che il nylon è tutto fuorchè “puro”):

partiture cameristiche che incrociano elettronica sperimentale e voci recitanti.

Suono del secondo album (che si intitola “Microonde e vibroplettri”): è uno split album, con 4 brani per solo forno a microonde, e 4 per sola chitarra suonata usando vibratori come plettri.

 Suono del terzo album (che, dando il titolo a tutto il box, si intitola “La fisica delle nuvole”): una piccola orchestra acustico-psichedelica di 8 elementi. Che nel finale si espande fino a 13, con ospiti come Paolo Benvegnù, Enrico Gabrielli, Giulia Sarno e Marina Mulopolus. Un incontro tra space trips (che poi sono tutti viaggi nell’inner space) e rock in opposition. Con un omaggio alla Sun ra Arkestra (“Starburger”, completamente improvvisata live in studio).

Il lavoro viene presentato dal vivo la prima volta allo Studio Rosai (una coraggiosa e innovativa galleria d’arte fiorentina, che purtroppo chiuderà nel 2019), con un concerto abbinato alla mostra dei disegni originali di Bacilieri.

Nella stessa occasione viene proiettato per la prima volta “Micronauta”, un video in 3D realizzato da Vittorio Nistri e Andrea Cecchi per uno dei brani del cofanetto. Questo video verrà successivamente proiettato in gallerie d’arte o in apertura di concerti, ed inviato “ad personam” (tramite un link segreto, non rintracciabile coi motori di ricerca) a chi ne ha fatto richiesta, ma non è stato messo né su Facebook, né su un canale You Tube “visibile omnibus”,ecc. Questo perché è stato concepito non come un videoclip, ma come un quadro, ovvero un unico piano-sequenza (e dunque, una unica immagine, appunto come un dipinto). La differenza con un dipinto è che, nell’arco di quattro minuti, si evolve, seguendo una precisa sceneggiatura… che risulterà chiara solo a chi lo guarderà fino in fondo. Il che lo rende poco congeniale al Web, dove la fruizione ha un suo ritmo specifico, veloce e frammentato.

Per quanto riguarda l’accoglienza ricevuta dal cofanetto “La fisica delle Nuvole”, ecco alcuni estratti di recensioni:

ROCKERILLA: il coraggio di confrontarsi con l’avanguardia, sovvertirne le regole e piegarla ai propri istinti. Dischi italiani del mese!

LA REPUBBLICA: opera monumentale sull’ evoluzione delle tecnologie applicate al quotidiano.

BUSCADERO: mix di scrittura eccelsa e di intelligenza ed eleganza strumentale estrema. Altamente consigliato.

RUMORE: si spalancano portoni e l’immaginazione sale al potere, lasciandoci con i neuroni fumanti.

BLOW UP: la musica è di chiara impronta ‘rock’ (nel senso di ‘popular’), ma subisce forti fascinazioni e influenze della classica contemporanea, dell’improvvisata e dell’industrial-wave (aleggiano le eredità di Einsturzende Neubaten, Franti e i primi Gronge).

ONDA ROCK: una prova di forza e genio. Questo è il Made In Italy di cui andare fieri.

LA NAZIONE: sanguigna e al contempo raffinata espressione sonora. Un monumentale cofanetto che è anche un libro, un almanacco, un’opera d’arte composita.

CORRIERE: i più pazzi e coraggiosi in circolazione oggi sono i toscani Deadburger.

ROCK ON: questo è il meglio, signori, questa è musica sotto tutti i punti di vista, è il sole che brucia la luna, è la pioggia che bagna l’Africa, è il nettare, è il cuore pulsante, è l’Italia campione del mondo. Aprite le finestre, fate entrare la storia, fate entrare i mostri sacri, fate entrare il capolavoro dei Deadburger.

PSYCAN: in questo colossale lavoro non troverete nulla di scontato, nulla che non sia arte, che non sia cultura, che non sia rielaborazione personale del lungo ascolto di  grandi musicisti. E’ pura avanguardia, l’avanguardia italiana che guarda al futuro, ai prossimi trenta-quarant’anni.

IMPATTO SONORO: un lavoro infiammato da una luce unica. La ricerca del sublime e della bellezza la si può trovare in ogni traccia di questo lavoro. Mentre l’ultima canzone sfugge via, una mano finisce sul cuore e si scopre di essersi innamorati di questo gruppo.

THE NEW NOISE: il pop che si fa tutt’uno con l’avant. Elettronica viva come non ne sentivo da tempo. Una band sempre in divenire, costantemente protesa verso l’urgenza. Un progetto che vive di donchisciottesca propensione alla perfezione. Questo lavoro è epifania per le orecchie.

ROCKLINE: emozione e sentimento. Ricerca e narrazione. Si rassicurino i nemici delle finte avanguardie, che qui di finto non c’è niente. Voglio fermarmi dalla tentazione di un track by track (che sarebbe più che giustificato, vista la complessità, diversità ed altissimo livello tecnico ed artistico di ogni singola traccia). Meglio perdersi in questo labirinto borgèsiano in cui gli oggetti mostrano mille sfaccettature e possono essere altro da quello che sembrano.

DISTORSIONI: una delle uscite più originali e coraggiose di questi tempi bui e amorfi. Una risposta al grigiore. Vale la pena ascoltarlo, e provare a mettere in moto ancora il nostro ultimo sogno.

ROCKAMBULA:  la Fisica delle Nuvole è un’opera d’arte perché non si limita a mostrarsi ma ti penetra fino al midollo scavando e sputando le parti di te più nascoste, spingendoti a dubitare di te stesso, delle tue sensazioni, delle tue emozioni, del tuo essere. La Fisica delle Nuvole è musica talmente alta che basta per rendere più accettabile il resto.

INDIE FOR BUNNIES: un prodotto artistico a tutto tondo. Un prodotto di eccellenza assoluta.

ALLIGATORE (FRIGIDAIRE): c’è un intreccio di arti da far paura, non solo musica e teatro, ma anche fumetto, letteratura, politica, sesso, gioia, rivoluzione e travolgenti passioni.

KALPORZ: lasciamo decantare questo progetto come un buon vino, lasciamoci rapire dalla potenza delle parole, abbandoniamoci al flusso della musica, ascoltiamo e dedichiamo(ci) tempo. Io l’ho fatto e questo disco è entrato in me; per settimane è diventata abitudine portarmi dietro questo cofanetto di color grigio colmo d’arte, poesia, sperimentazione, gioia, dolore, musica e fantasia.

RADIO SHERWOOD: tre dischi per contenere l’avant rock, l’elettronica noise, il minimalismo, i fiori, le tenerezze poetiche, le piccole intimità dell’anima.

SOUND36: Ascoltare quest’ opera senza rimanerne affascinati credo sia impossibile, a prescindere dai gusti musicali, per chiunque ami la Musica.

ESTATICA: Un’opera che tratta di vita e morte, transizione, passaggio, istanti addentati con ferocia e gustati con fame vera. Una delle pietre miliari del nostro underground.

CHAIN DLK (USA). The creativity here is simply astounding

SENTIRE ASCOLTARE. Esperienza d’ascolto avventurosa, imprevedibile, capace di unire colto e popolare, ma soprattutto di stupire. Bravi davvero.

SALTINARIA. Total avant-rock. I Deadburger sono l’Avanguardia, e non ci abitueremo mai al loro profondo sentire, al loro essere contro ed essere con noi.

Nel 2019 un referendum tra tutti i redattori di Onda Rock ha posto “La Fisica Delle Nuvole” al settimo posto nella classifica dei migliori dischi indie italiani usciti tra il 2000 e il 2019.

 

FASE IV

Nel periodo successivo a “La fisica delle nuvole”, per i Deadburger diventa sempre più difficile ritrovarsi a provare insieme. Esigenze personali di lavoro o di vita portano vari membri dell’’ensemble a trasferirsi altrove (ad esempio, Carlo Sciannameo a Grosseto, Irene Orrigo a Berlino, ecc). Per altri membri diventa impossibile conciliare un progetto impegnativo come Deadburger con le altre loro attività,.

I Deadburger tornano ad esibirsi dal vivo solo in rare occasioni speciali, come ad esempio la partecipazione al Solchi Sperimentali Festival di Prato (occasione che vede la riunione della band con Silvio Brambilla, che ne era stato il primo batterista), o il Tinnitus Tales Tour di Forbici di Manitù & Friends (nell’ambito del quale i Deadburger suonano al GAMC, la Galleria d’arte Moderna e Contemporanea di Viareggio, con un repertorio e una formazione creati appositamente per quella performance).

Prosegue invece intensamente l’attività di registrazione, finalizzata principalmente alla realizzazione de “La chiamata” (seconda parte del dittico iniziato con “La Fisica delle Nuvole”). Ma anche alla preparazione di materiale destinato a due stimolanti progetti discografici collaborativi delle Forbici di Manitù: “Tinnitus Tales” (pubblicato nel 2015; Deadburger partecipa con l’inedito “Marcia degli Acufeni”, su testo di Vittore Baroni, registrato con la partecipazione di Zeno De Rossi alla batteria e Silvia Bolognesi al basso) e “Tinnitus Tales Tour” (pubblicato nell’ottobre 2020; Deadburger partecipa con tre brani registrati dal vivo al GAMC).

Inoltre, si intensificano fortemente i progetti individuali dei vari membri.

Alessandro Casini e Simone Tilli, insieme a Tony Vivona (importante partner creativo de “La fisica delle Nuvole”) e Silvio Brambilla (primo batterista dei Deadburger), intraprendono una intensa attività concertistica nella band “Le Jardin Des Bruits” (album registrato live in studio in uscita nel 2021).
Alessandro Casini suona anche con AlAn+ (duo con Tony Vivona).

Vittorio Nistri e Simone Tilli danno invece origine al progetto “Ossi” (nel 2021 il vinile di esordio, registrato con Andrea Appino, Dome la Muerte e Bruno Dorella). Simone Tilli inoltre prosegue la sua produzione solista come Gualty, mentre Vittorio Nistri dà vita, un duo con lo sperimentatore fiorentino Filippo Panichi, a un progetto fuori dall’ambito “rock” (nel 2021 l’album di esordio). Vittorio collabora anche ai nuovi dischi di Nickelodeon/InSonar (aka Claudio Milano) e Maisie, nonché a un nuovo progetto “incredibilmente strano” delle Forbici di Manitù.

Il 20 novembre 2020 esce, per Snowdonia Dischi, “La Chiamata”, il nuovo album della Deadburger Factory, complementare e opposto a “La Fisica delle Nuvole”. L’altro lato dello specchio (non a caso, nel booklet de “la Fisica delle Nuvole c’era un disegno di Alice che entrava nello specchio, mentre in quello de “La Chiamata” ce n’è uno di Alice che ne esce).

I tre album del cofanetto erano un trip nell’inner side, e per questo erano in larga misura incentrati su suoni evocativi/onirici, quali viola, chitarra acustica e flauto. Persino il forno a microonde era usato con spirito astratto e “space oriented”.
“La chiamata” è invece un faccia a faccia con l’outer side, la realtà esterna con la quale ci scontriamo frontalmente ogni giorno. Per questo è incentrato su suoni decisamente più “materici” e concreti.
Zero archi. Quasi nessuna chitarra acustica (ce n’è una solo in “Manifesto Cannibale”). E al loro posto: sax urlanti, chitarre elettriche “straight in the face”, contrabbassi percossi per far sentire bene il legno che vibra, e, soprattutto, una grande onda d’urto di tamburi. Tutti i brani de “la Chiamata” sono a doppia batteria (mentre nel cofanetto delle Nuvole un buona metà dei brani era senza alcuna batteria).

Nel loro insieme, le due opere del dittico esprimono una visione anti-escapista della psichedelia e dell’arte in genere.

Viaggiare dentro di sé non per fuggire dal reale, ma per riattivare le sinapsi assopite.
Così da tornare poi ad affrontare, con maggiore lucidità e determinazione, i mille ostacoli che la vita pone davanti a ciascuno di noi.

Venti i musicisti coinvolti ne “La Chiamata”. Insieme al quartetto dei membri storici dei Deadburger (Nistri / Tilli / Casini / Sciannameo), ci sono: Alfio Antico (la cosa più simile ad uno sciamano che la musica in Italia abbia mai avuto); le voci di Lalli (l’indimenticata cantante dei Franti, che già aveva dato un prezioso contributo a “la Fisica delle Nuvole”), Cinzia La Fauci (Maisie) e Davide Riccio; Silvia Bolognesi (contrabbassista dell’Art Ensemble of Chicago); l’inedita accoppiata fiatistica di Enrico Gabrielli e Edoardo Marraffa; e poi…. una legione di batteristi. Ogni brano vede in azione una coppia di batteristi diversa. Otto in tutto i drummers. Ci sono tutti e tre i batteristi della discografia Deadburger (Silvio Brambilla, Lorenzo Moretto, Pino Gulli). E poi: Bruno Dorella (Bachi da Pietra, OvO, Ronin, Sigillum S), Marco Zaninello (Appaloosa, Honko), Simone Vassallo (Caveiras, Sex Pizzul, Clap Clap ecc), e due grandi batteristi di estrazione jazz: Zeno De Rossi e Cristiano Calcagnile.

Graficamente, “la Chiamata” si presenta come un cofanetto in PVC semitrasparente serigrafato, contenente: un CD con copertina gatefold cartonata; un booklet a colori di 68 pagine tutte illustratissime e un miniposter. Il tutto con disegni di Paolo Bacilieri.

Le immagini  del cofanetto e della copertina gatefold si sovrappongono allo sguardo, per effetto del gioco delle semitrasparenze, e configurano – nel momento in cui si estrae il disco dal cofanetto – un passaggio dall’oscurità alla luminosità di un qualcosa di ancora indefinibile. Qualcosa che erutta dal suolo (il ritorno dell’underground?), e che porta in sé una speranza di cambiamento.

Il Booklet contiene, oltre a testi e info sulle canzoni del disco, tre spettacolari numeri del Poor Robot’s Almanack.

“La chiamata” denota, tanto nella realizzazione della musica che nella confezione grafica, uno sforzo produttivo inusuale per un disco underground autoprodotto.

Molti artisti si stanno domandando se abbia senso ancora stampare dischi, stanti le vendite dei supporti fisici in caduta libera… l’ascolto sul web in prevalenza frammentato e svincolato dal concetto di “album”… il CD dato, secondo l’opinione più diffusa, come irreversibilmente condannato. Il pensiero di Deadburger al riguardo è che, proprio perché i dischi fisici sembrano essere una specie a rischio di estinzione, non hanno più senso le mezze misure. O un artista smette di stampare dischi (limitandosi a mettere files su Bandcamp, Spotify, ecc), oppure – se si decide di continuare a farli – deve cercare di curarli oggi ancora più che prima. Per amore della musica (l’amore non è razionale), e per dare un senso all’acquisto del disco da parte di coloro che ancora sono disponibili a farlo.