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La fisica delle nuvole

La fisica delle nuvole
Release date 15/9/2013
Disco # 1 (“PURO NYLON”)
1. 1940 / Madre
2. Variazione su un campione di Erik Satie # 1: Re
3. Variazione su un campione di Erik Satie # 2/3: L’inganno / Il poeta
4. Oltre
5. Obsoleto blues
6. Variazione su un campione di Erik Satie # 4: La pelle
7. In ogni dove
8. Ancora più oltre

Disco # 2 (“MICROONDE E VIBROPLETTRI”)
1. La mia vita dentro il forno a microonde
2. Strategia del topo
3. Magnetron
4. Micronauta
5. Il dentista di Tangeri
6. Cuore di rana
7. Dr Quatermass, I presume
8. Arando i campi di vetro

Disco # 3 (“LA FISICA DELLE NUVOLE”)
1. La fisica delle nuvole
2. Amber
3. Bruciando il piccolo padre
4. Cose che si rompono
5. Wormhole
6. Il mare è scomparso
7. Deposito 423
8. C’è ancora vita su Marte (include: Starburger)


“La Fisica Delle Nuvole” è un cofanetto cartonato che contiene tre album, un miniposter e un booklet di 72 pagine.
Ma non si tratta di un album triplo.
Si tratta proprio di tre album distinti, nuovi e inediti. Ognuno dei tre album ha la sua confezione digipack, il suo titolo, la sua copertina, il suo concept. E il suo suono, diverso da quello degli altri due.

il primo album, “Puro Nylon 100%” (…e va da sé che il nylon è tutto fuorchè “puro”), incrocia musica da camera psichedelica ed elettronica “fatta a mano”;

il secondo album, “Microonde e Vibroplettri”, è uno split, con 4 brani di Vittorio Nistri (realizzati usando, come unica sorgente sonora, un forno a microonde) e 4 brani di Alessandro Casini (realizzati usando unicamente una chitarra suonata con vibratori);

il terzo album, che si chiama “La fisica delle nuvole” e dà il titolo anche a tutto il box, vede i Deadburger abbandonare la loro consueta veste elettrica-elettronica per trasformarsi in una piccola orchestra acustico-psichedelica (8 componenti fissi, espandibili con ospiti fino a 13). Nonostante sia stato realizzato prevalentemente con strumenti “tradizionali”, anche questo album non avrebbe mai potuto nascere senza l’elettronica. Intesa stavolta non come gamma timbrica, ma come strumento di rimodellazione, idoneo a confondere i confini tra improvvisazione e scrittura.
I brani dell’album infatti nascono da anarchiche jams freakedeliche, dove tutti i membri dell’ottetto sono stati chiamati a improvvisare liberamente (fino a modificarne armonie e durata) sullo scheletro di canzoni in parte inedite e in parte tratte dagli album precedenti del gruppo. Le registrazioni di queste sessions sono state successivamente organizzate tramite cut-up alla Teo Macero e rielaborazione digitale, fino ad assumere la forma di canzoni meticolosamente arrangiate. Ma conservando il senso di spontaneità e imprevedibilità proprio della loro genesi freakedelica.

I tre album vengono proposti in vendita solo insieme, in unica confezione.
Perché sono tre dischi diversi, ma parti di una stessa visione. Come tre isolette, che sembrano ciascuna per i fatti suoi – ma basta immergersi per vedere che scaturiscono tutte dallo stesso fondale.
Non a caso, le 3 copertine hanno ciascuna un disegno “autosufficiente”; ma, accostandole, formano un’unica grande immagine, come una versione psichedelica dei polittici rinascimentali.

Chi ne avrà voglia, potrà trovare i fili che, sotto la superficie, accomunano i tre album.
Ma non è affatto indispensabile, perché questo è un lavoro che si presta a più modalità di fruizione.
Ogni ascoltatore potrà, a seconda dei suoi gusti, considerare il lavoro come un unicum, o approcciarsi a ciascun singolo album in maniera indipendente e autonoma.
O focalizzarsi solo su uno specifico album, ignorando gli altri.
Scegliendo se tentare la “maratona” dell’ascolto globale, oppure sentire un brano a caso di un disco a caso ogni tanto. Entrambi i tipi di approccio rientrano nello spirito di questo lavoro.

Il mercato discografico indie non esiste più?
La maggior parte degli ascoltatori ormai concepisce la musica come singoli brani, disconoscendo il concetto stesso di “album” come opera d’arte unitaria? I manualetti per musicisti-nell’era-dei-social-network (cifra “The New Rockstar Philosophy”) raccomandano di fare album brevi, meglio se EP, perché nessuno ha più tempo per ascoltare qualcosa troppo a lungo?
I Deadburger rispondono con un arcipelago di musica che, convintamente e deliberatamente, si tira fuori dai binari del “buon senso”. Quel buon senso che vorrebbero musicisti ed etichette volare raso terra, per raccattare dal suolo le ultime briciole rimaste.
Il box è stato concepito come un arcipelago di musica per psiconauti musicali.
Un “album-mare” in cui, chi ne abbia voglia, possa perdersi.
Destinatario ideale di questo lavoro è chi sia ancora disponibile, qualche volta, a decelerare.

“L’acuirsi dell’attività in iperazione fa si che l’attività si rovesci in un’iperpassività. E’ un’illusione credere che quanto più si è attivi, tanto più si è liberi”. (Byung-Chul Han, “La società della stanchezza”)

Le immagini. In un momento in cui la musica si sta smaterializzando, configurandosi come sciami di files archiviati nel mare magnum di una memoria digitale, abbiamo cercato di ricompensare quegli appassionati che ancora si ostinano a comprare i dischi nel loro supporto fisico, dando loro qualcosa che possa avere un senso non solo ascoltare, ma anche guardare, tenere in mano, riporre su uno scaffale.
E dove immagini e suoni si scambino input a vicenda.
Per artwork e booklet, i Deadburger hanno lavorato fianco a fianco con Paolo Bacilieri, con l’obiettivo di recuperare il gusto del fantastico, dell’immaginazione al potere, e anche del “fatto a mano”, che era proprio degli artwork di epoche ante-fotoshop (Roger Dean, Studio Hipgnosis, Paul Whitehead, ecc).
Bacilieri è uno dei massimi fumettisti italiani contemporanei. Usa la matita come uno strumento musicale.
Non a caso, ha pubblicato anche un libro di musica disegnata: “Canzoni in A4”.

Poor Robot’s Almanack. Nel booklet, le info sui tre album sono inframezzate da 4 distinti "almanacchi", uno per ciascun tema suggerito dai titoli degli album: 1) nylon, 2) microonde, 3) vibrazioni, 4) nuvole.
L’alternanza di testi e immagini è stata pensata come una versione “underground” della rubrica "Forse non tutti sanno che" della Settimana Enigmistica, mentre i caratteri "tipografici" del titolo sono ripresi da quelli d'epoca del Poor Richard Almanack di Benjamin Franklin.

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